Il giornalista marchiato
Diciamoci la verità, si può renderlo “fashion” con gli anglicismi, ma la maggior parte dei giornalisti non considera il “brand journalism” una forma di giornalismo. Ed è chiaro che il peccato d'origine sta nel fatto che “brand” e “marchio” sono termini differenti ma dalla comune etimologia, cioè l'essere marchiato a fuoco. E come ci ricorda “La lettera scarlatta”, il marchio a fuoco è un sinonimo d'infamia che spetta alle prostitute. E allora via con tutta la retorica del giornalista marchettaro o pennivendolo.
Ma è proprio così? Il brand journalism è solo un modo diverso per indicare il poeta cortigiano, colui che canta le lodi del proprio mecenate? Oppure è l'attività professionale e deontologicamente corretta di cercare notizie su certi argomenti di interesse per un editore, che però non è un editore “puro”?
Ma se rispondiamo "sì" all'ultima domanda, dobbiamo per onestà intellettuale aggiungere che il giornalismo è già in gran parte “brand journalism”. Lo è perché molti degli editori di media oggi non sono editori “puri”, e anche quando lo sono indicano una linea editoriale che in sostanza dice: "vogliamo proporre notizie e contenuti che incontrano il gusto di un determinato gruppo politico, sociale, culturale, economico, ecc.".
Il sogno di un giornale generalista per tutti gli alfabetizzati da 6 a cent'anni, se mai è stato possibile, non lo è di certo nell'epoca della rete informativa globale, dove tutti possono produrre contenuti, e ognuno può scegliersi (o credere di scegliere) il proprio palinsesto.
E allora se le aziende, i marchi, decidono di diventare editori e di offrire notizie e contenuti ai propri “follower”, cioè clienti o potenziali tali, per creare visibilità e partecipazione su alcune tematiche che desiderano siano associate al proprio brand, è meglio che a farlo sia un professionista dell'informazione? Un algoritmo? O uno stagista smanettone?
Il fatto è che la domanda non si porrà nemmeno se i giornalisti decideranno di non essere un'opzione possibile, se avranno paura della "Lettera scarlatta", se al letame preferiranno i diamanti (che presto potrebbero diventare solo cocci di vetro).
